Ricerca personalizzata

PRECARIO Aeroporto di Catania

Salve a tutti,
Sono un lavoratore precario dal 2003 presso l’aeroporto di Catania come O.U.A. (operatore unico aeroportuale) vale a dire addetto al carico e scarico dei bagagli, ebbene, dopo 6 anni di sacrifici, prevaricazioni, false promesse, e migliaia d’ore di straordinario il 31 Marzo la SAC ente gestore dell’aeroporto di Catania ha lasciato me ed altre 40 persone senza un lavoro.
Tutto questo grazie al decreto dei 36 mesi che in sintesi dicono che superati i 36 mesi di lavoro a tempo determinato l’azienda è tenuta ad assumerti a tempo indeterminato, e come se non bastasse lo Stato delibera pure una proroga di 15 mesi per l’attuazione della legge che guarda caso finisce proprio il 31 Marzo 2009 data del mio licenziamento.
Tutto ciò naturalmente lo scoperto dopo, perché l’azienda e soprattutto i sindacati ci hanno tenuto all’oscuro di tutto fino all’ultimo giorno, tutto questo mi ha spronato a conoscere il mondo dei precari e delle sue leggi e sopratutto voglio portare la conoscenza di questo problema a tutti quei precari che all’inizio come me non sapevano niente dei propri diritti, per questo ho creato un blog al fine di informare più gente possibile.
Spero che voi mi darete una mano a fornire questo blog di tutte le vostre esperienze di lavoratori a tempo determinato tramite il forum in modo da dare a tutti noi i mezzi per poterci difendere da questo
Mondo di precari.

Questo fantastico manuale spiega in maniera semplice ed intuitiva tutto quello che riguarda il mondo del lavoro precario, all'interno troverete una raccolta di leggi ed una serie di domande con relativa risposta che più frequentemente ci poniamo.

Ogni lavoratore precario dovrebbe averne una copia per avere una conoscenza globale dei propri diritti .

Il Manuale è in vendita alla simbolica cifra di 3€.


Il Manuale verrà Spedito Via Mail in Formato Pdf o Word dopo avere effettuato il pagamento dello stesso, tramite Paypal o Postepay.

Per Pagamenti e informazioni scrivere a: diliberto.vincenzo@fastwebnet.it

martedì 20 settembre 2011

Mercato del Lavoro. Le nuove norme sul contratto a termine all’insegna di una deregulation selvaggia

Con la legge n. 133, di conversione del DL 112, il governo cancella le modifiche positive portate dalla legge 247/2007 e peggiora le stesse norme contemplate nel D.lgs 368/2001 originario. Ora l’apposizione del termine è consentita anche se le ragioni giustificative sono riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro. Così viene ulteriormente precarizzato il lavoro. 08/09/2008 1. Tra gli interventi peggiorativi per i lavoratori in materia lavoristica introdotti dal governo di centro destra con la Legge 6 agosto 2008 n. 133 di conversione del DL 112/08 vogliamo, in questa sede, soffermarci solo sulle novità riguardanti il rapporto di lavoro a tempo determinato, rinviando ad un altro momento il commento e l'analisi delle restanti e preoccupanti modifiche della normativa volute dall'esecutivo. Come già segnalato l'obiettivo di questo governo è deregolamentare il lavoro muovendosi su quattro direttrici: a) stravolgere le misure della legge 247/07 (accordo sul Welfare) sulle tipologie di impiego; b) intervenire sull'orario di lavoro, sugli appalti e sul sistema solidaristico della tutela della malattia; c) stravolgere gli strumenti di registrazione e di controllo dei rapporti di lavoro in maniera tale da impedire i controlli ispettivi; d) segmentare gli interessi salariali dei lavoratori con le misure relative alla detassazione degli straordinari e dei premi di produzione. Ebbene le modifiche delle norme sul contratto a tempo determinato rappresentano un tassello importante di questa strategia che, in ultima analisi, mira a dividere e frantumare il mondo del lavoro sia pubblico che privato attraverso la cancellazione dei risultati raggiunti con l'accordo sul Welfare e il ripristino, in versione riveduta e corretta, di norme che fanno arretrare i diritti e le tutele dei lavoratori. Le norme rivisitate in peius in materia lavoristica si combinano con gli altri interventi, presenti sia nella legge 133/2008 che negli altri provvedimenti sulla scuola di cui al DL 137, sull'università, sulla ricerca, sulla sanità, sul pubblico impiego e sulla sicurezza che nel loro complesso prefigurano una ben precisa idea di società fondata sull'esclusione, sulla privatizzazione dei servizi pubblici e uno sviluppo tutto subordinato alla mera logica del mercato e dell'impresa. 2. Nel merito del contratto a termine. Come è noto il D. Lgs. 368/2001 ha introdotto una disciplina del lavoro a termine che ha innovato in maniera rilevante quella previgente, contenuta principalmente nella L. 230/1962, di cui si è prevista contestualmente l'abrogazione. E' altrettanto nota la posizione di netta contrarietà espressa dalla CGIL manifestata in quell'occasione. Successivamente, incisivi interventi di modifica sulla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato sono stati attuati dalla L. 247/2007, che nel recepire l'accordo sul Welfare del 23 luglio 2007 ha novellato in vari punti la disciplina in materia recata dal D. Lgs. 368/2001. In primo luogo, è stato introdotto espressamente nell'ordinamento il principio in base al quale il rapporto di lavoro subordinato è di norma a tempo indeterminato. In secondo luogo il c.d. "causalone" ovvero le esigenze tecniche, produttive, organizzative o sostitutive è stato limitato alle attività aziendali "non ordinarie". In terzo luogo è stata introdotta una disciplina tesa a limitare la possibilità di prevedere continui rinnovi dei contratti a tempo determinato con lo stesso lavoratore; ciò per evitare un uso improprio dello strumento del lavoro a termine prevedendo, quindi, che se per effetto della successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra il datore di lavoro e il lavoratore supera complessivamente una certa durata ossia i 36 mesi, il rapporto di lavoro viene considerato a tempo indeterminato a decorrere dal momento in cui viene superata detta durata. Ora con la legge 133/2008, di cui all'art. 21, quegli interventi di modifica vengono nuovamente cancellati e viene riscritta in peius per i lavoratori la nuova disciplina. 3. Al comma 1 dell'art. 21 della L. 133/2008 che novella l'articolo 1, comma 1, del menzionato D.Lgs. 368/2001, viene previsto che l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato è consentita a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo riconducibili anche all'attività ordinaria dell'azienda. Questo comma mina il principio generale, sempre previsto dalla legge, in base al quale il rapporto di lavoro è di norma a tempo indeterminato, sdoganando di fatto e di diritto il ricorso al contratto a termine. L'intento palese è quello di ristabilire il principio di equivalenza tra lavoro a termine e lavoro stabile, lasciandolo al solo insindacabile desiderio dell'impresa. Dopo l'art. 4 del D.Lgs 368/01 viene introdotto, con il comma 1 bis dell'art. 21, un nuovo articolo il 4 bis che contempla una "disposizione transitoria" relativa al contenzioso giudiziario sui contratti a termine in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione ovvero al 21 agosto 2008. Fatte salve le sentenze passate in giudicato, tutte le altre situazioni che hanno comportato una violazione delle ragioni che legittimano il termine al lavoratore non compete più il diritto alla reintegra ma solo il risarcimento del danno individuato in una indennità non inferiore a 2,5 mensilità e non superiore a 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale. Vi è in questo caso una violazione sia della tutela reale sia di quella obbligatoria tanto che è stato sollevata da più parti la incostituzionalità di tale norma. Con il comma 2 dell'art. 21 si modifica il comma 4- bis dell'articolo 5 del D. Lgs. 368/2001, introdotto dalla citata L. 247/2007. La nuova norma dispone che la disciplina di cui al menzionato comma 4-bis dell'articolo 5 del D. Lgs. 368/2001, introdotto dalla L. 247/2007, volta a limitare la possibilità di prevedere continui rinnovi dei contratti a termine con lo stesso lavoratore, non si applica nel caso in cui dispongano diversamente i contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Si tratta di una norma pericolosa che non va sottovalutata in quanto affida alla contrattazione collettiva nazionale, territoriale e aziendale un " ruolo derogatorio in peius" i cui effetti sono facilmente immaginabili. Con il comma 3 dell'art. 21 viene modificato il comma 4- quater dell'articolo 5 del D.Lgs. 368/2001, anch'esso introdotto dalla citata L. 247/2007 relativo alla precedenza nelle assunzioni, di cui al menzionato comma 4- quater dell'articolo 5 del D.Lgs. 368/2001, introdotto dalla L. 247/2007. Ora il diritto di precedenza non è più assoluto in quanto può essere derogata dalle eventuali diverse previsioni dei contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Come nel comma 2 viene riproposto il ruolo derogatorio in peius da parte della contrattazione collettiva nazionale, territoriale e aziendale. Con il comma 4 si prevede che, dopo 24 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame, il Ministro del lavoro procede ad una verifica degli effetti delle norme di cui ai commi precedenti dell'articolo in esame con le organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Il “collegato lavoro”, la norma che ha diviso i precari

Il “collegato lavoro”, la norma che ha diviso i precariProsegue l’approfondimento di Diritto di Critica sulla legge n.183 del collegato lavoro, approvata il 4 novembre 2010 al termine di un iter parlamentare iniziato nel 2009. Sospesa negli effetti fino al 1 gennaio del 2012 (anche per i contratti in scadenza al novembre del 2010), con l’ultimo decreto Milleproroghe, è in attesa della pronuncia della Corte costituzionale che stabilirà se è legittimo o meno il risarcimento onnicomprensivo, stabilito per legge tra le 2,5 e le 12 mensilità, per i lavoratori a cui non è stato rinnovato il contratto a tempo determinato scaduto. “Uno dei campi sui cui è intervenuto il collegato lavoro – dice a Diritto di critica il giudice del lavoro Massimo Pagliarini – è quello del contratto a termine. Fino all’entrata in vigore del collegato, le regole per legge o per giurisprudenza consolidata erano quelle per le quali se in presenza di un rapporto a termine il motivo dell’apposizione della causale temporale fosse stato illegittimo, il giudice provvedeva a convertire il rapporto, a trasformarlo da determinato ad indeterminato, risarcendo il lavoratore nella misura delle retribuzioni non percepite a partire dalla cosiddetta messa in mora: ovvero da quando il lavoratore ha manifestato l’interesse a tornare al lavoro fino al ripristino del rapporto. Il collegato lavoro – spiega Pagliarini – interviene non tanto sul profilo della conversione, perché lo lascia salvo (oggi rimane ferma la conversione del rapporto a tempo indeterminato), quanto sull’aspetto risarcitorio. Perché ha previsto un’indennità onnicomprensiva, indipendentemente dal momento in cui il lavoratore ha manifestato la volontà di tornare a lavorare, e limitata con una forbice da 2,5 a 12 mensilità (le retribuzioni sono dimezzate, dalle 2,5 alle 6 mensilità, se l’assunzione del lavoratore è avvenuta previo accordo sindacale)”. L’interrogativo prevalente riguarda la possibilità che la misura risarcitoria vada ad aggiungersi o meno all’obbligo di pagare al lavoratore le retribuzioni precedenti. L’interpretazione prevalente, suffragata dalla pronuncia delle corte di Cassazione, è che l’indennità non vada a sovrapporsi alle mensilità passate, ma che le sostituisca. “E’ chiaro – sottolinea Pagliarini – che si è in presenza di una prospettiva più riduttiva delle tutele per il lavoratore rispetto al passato. Questa è misura a favore del datore del lavoro che, qualora perdesse la causa con l’ex dipendente, avrebbe la certezza di pagare al massimo 12 mensilità. Il collegato lavoro deve essere interpretato, per ora, come una norma che limita il quantum del risarcimento”. Le aziende hanno accolto con favore questo provvedimento, anche perché non riduce la lunghezza dei processi, a danno del lavoratore. “L’impresa – dice il giudice del lavoro a Diritto di critica – avrà tutto l’interesse a portare avanti il procedimento, perché non dovrà pagare il dipendente e perché sa che più di un limite massimo, non può rischiare. I tempi del giudizio che, fino all’entrata in vigore del collegato lavoro, venivano risarciti, ora non più”. L’impressione che ha dato la legge non è delle migliori, almeno per quanto riguarda i lavoratori: “Il provvedimento – precisa Pagliarini – nel complesso non parla soltanto di occupazione, ma di altre tematiche. Ci sono delle singole disposizioni che possono essere accolte con spirito positivo, ma il problema vero è che si parte da alcune situazioni critiche, come nel caso del processo breve e la responsabilità del giudice, e poi si strumentalizzano perché si arriva a conclusioni quantomeno allarmanti”. Il contratto a termine ormai è una realtà nel panorama italiano ed il collegato lavoro non sembra un provvedimento volto alla stabilizzazione del rapporto lavorativo.“La possibilità di impugnare il contratto scaduto entro 60 giorni – sottolinea Pagliarini – potrebbe essere letto con favore, perché fino ad oggi non c’erano dei limiti di tempo per rivolgersi al giudice. Anche un contratto scaduto, a distanza di anni, poteva essere impugnato con un ritardo. Con il collegato lavoro, fissare dei tempi anche per i contratti a termine (come c’era già per il licenziamento) potrebbe essere letto positivamente, però il lavoratore si trova stretto in una morsa tra il dovere impugnare nei 60 giorni un contratto a termine scaduto e non avere più alcun diritto scaduto quel termine. Seppure la normativa italiana preveda che il rapporto a tempo indeterminato debba essere il regime ordinario dell’assunzione del lavoratore, l’allargamento della possibilità dell’assunzione a termine (prende origine da una riforma del 2001), ciò ha consentito alle aziende di ricorrere alla manodopera con motivazioni più elastiche rispetto al passato. Per non parlare – precisa il magistrato – di alcune aziende, che notoriamente sono nell’occhio del ciclone. Prima fra tutte Poste Italiane, con un’inflazione di ricorsi di lavoratori, perché l’azienda ha fatto un uso a dismisura dei contratti a termine”. In un regime di precarietà del lavoro e dei contratti a termine, l’impugnazione appare la via più sicura per essere reintegrati: “Dalla visuale che ho – sostiene Pagliarini - molto spesso le causali di assunzione nei contratti sono generiche. Non manifestano le ragioni per le quali il datore di lavoro, invece di assumere a tempo indeterminato, assuma a tempo determinato. Di fronte a queste ipotesi bisogna fare ricorso, i mezzi ci sono per tutelarsi. La legge – aggiunge il giudice del lavoro –, nelle ragioni di assunzione, parla di esigenze produttive, organizzative, però questo non basta. Bisogna specificare già al momento dell’assunzione qual è la ragione oggettiva o organizzativa e farlo in maniera specifica. Perché il sistema, a fronte di questo allargamento della possibilità di assumere a termine, richiede di specificare, per capire già al momento della lettura del contratto, quale sia la ragione per cui è stato impiegato”. E una volta che il giudice ha ordinato il reintegro del ricorrente si è al sicuro? Non necessariamente. “Dopo le pronunce del giudice – conclude Paglirini – con la trasformazione del contratto da tempo determinato a quello indeterminato, ci può essere una retribuzione del lavoratore a casa, da parte dell’azienda, poiché la stessa non accetta di corrispondere gli emolumenti al dipendente, sostenendo che egli percepisca già altri redditi. In quel caso si ha un nuovo procedimento (anche se il primo giudizio è esecutivo) e l’azienda deve rispettare la sentenza”.